I miei pensieri verranno scritti in blu in risposta a quelli in nero di chi ha sinora partecipato.
Non mi pongo certo come moderatore di questa discussione o detentore della verità e su alcuni punti ho molte perplessità, benché sia autore di parte del decalogo proposto, ma solo col contributo di tutti si può riuscire ad arrivare ad un possibile codice deontologico condiviso.
Sinora vi sono stati diversi spunti ai quali aggiungo le mie riflessioni.
Marlowe scrive:
punto "5 . Le stilografiche della nostra collezione non dovrebbero essere più lucide di quelle nuove". Se l'obiettivo è di evitare certe tecniche elettrochimiche, o addirittura al laser, va bene, se invece si utilizza un solvente e l'olio di gomito non ci trovo nulla di male.
Anche io penso che non vi sia nulla di male a lucidare le nostre penne, ma non deve essere un fatto ossessivo tale da rimuovere le scritte pur di dare brillantezza all’oggetto. In ogni caso vernici colorate non si dovrebbero utilizzare.
Ad esempio alcune penne early, come la Eagle (quella con la cartuccia di vetro), avevano la parte esterna di ottone interamente verniciata di nero o di rosso; anche se rovinate o scrostate non le si dovrebbe mai riverniciare.
Anche su questo "6 . Nel restauro si devono utilizzare solo parti originali". avrei da dire. Le parti originali spesso non ci sono più, oppure hanno prezzi proibitivi, e allora che si fa, si nega a una vecchia stilo di tornare a funzionare? L'importante è dire che restauro è stato fatto e che parti si sono usate.
Incomincio dalla fine: a chi lo si deve dire e perché?
Ad un amico collezionista o a chi si tenta di vendere la penna?
Penso che sia normale ripristinare un sistema di riempimento con quello che si trova disponibile rispettando per quanto possibile i criteri originali, ma non ritengo che un fermaglio rotto o mancante debba essere sostituito col primo che si trova, ma a questo punto ritorniamo al punto 10: come era originariamente fatta quella penna e che clip aveva?
Interessante invece l'ultimo punto, quello sul conoscere le penne.
Qui si apre una voragine: chi fa più ricerche storiche? D’accordo che non tutti sono portati o hanno tale predisposizione o curiosità, però sono gli stessi che vogliono formulare la domanda su internet e trovare la risposta pronta, ma ricerca=denaro.
Walligator scrive:
in primis l'utilizzo di soli ricambi originali.
Poiché, se consideriamo il dettato alla lettera, la sostituzione di una barretta di pressione degli anni 30/40 con una di produzione più recente non dovrebbe essere ammessa, come pure un serbatoio di lattice/ silicone...ecc..
Come detto precedentemente la ragionevolezza ci deve guidare e non portarci a realizzare un falso.
ma il cosidetto metodo fornet?
La sostituzione degli anellini persi o distrutti?
Se il riannerimento della ebanite o rimozione dello zolfo superficiale viene fatto per soddisfare un nostro gusto o capriccio personale ha un significato, ma se viene eseguito per rivendere il pezzo spacciandolo come penna “alla menta” (near mint) tacendo il trattamento eseguito, allora……..siamo su un altro pianeta …e non commento.
Sulla sostituzione degli anellini ho molti dubbi e perplessità, ed in generale sono convinto che si debbano sostituire a patto che si sia sicuri che la penna originale li avesse (si torna al punto 10).
Giuseppe Tubi scrive:
sul punto 2. "Qualsiasi restauro deve essere reversibile" ho qualche perplessità: se si ricostruisce una parte di celluloide o di ebanite sbeccata? Non si può certo pensare di farlo rimovibile. Né, direi, siamo in un contesto da opere d'arte nel quale il rifacimento di una parte è volto a restituirne l'aspetto integro ma allo stesso tempo è "dichiarato" e ben riconoscibile per non generare un falso.
Mi ripeto: a chi lo si deve dichiarare se la riparazione viene fatta per noi?
In ogni caso mi sembra giusto ripristinare parti rotte, magari un cappuccio di una penna di ebanite che è praticamente impossibile trovare un ricambio, ma come giustamente fai capire, è il fine che giustifica questa riparazione: non la faccio per creare un falso da rivendere a qualcuno.
La reversibilità del restauro: non devo trasformare un sistema di riempimento a…… con altro………solo per realizzare un modello unico, “transizionale” che solo io ho e che vendo a caro prezzo; lo faccio su penne comuni e per divertimento o perché la voglio utilizzare comunque. Quanti sistemi di riempimento incontriamo vistosamente cambiati?
il decalogo dovrebbe essere incrementato per alcuni aspetti deontologici sullo spirito col quale si vive il collezionismo in generale.
Sicuramente questa è una giusta domanda che ognuno di noi dovrebbe darsi trovando la risposta.
Il raccogliere, il catalogare, la caccia, lo studio, l’hobby della riparazione, l’emozione della ricerca, l’apertura mentale che si ha nel dialogare con altri di oggetti ben conosciuti etc, proseguite voi.
Mi viene in mente uno scritto del defunto M. Fultz (noto collezionista americano le cui penne sono state vendute all’asta lo scorso anno) in cui raccontava di aver trascorso una giornata a percorrere ore e ore di strade tortuose per raggiungere uno sperduto podere in cui si doveva tenere un’asta di penne.
Lungo il viaggio fantasticava su cosa avrebbe potuto trovare e raccontava di come il fantasticare del viaggio fosse stata la parte migliore della giornata perché venivano poi messe in vendita solo penne molto comuni e prive di valore collezionistico.