Giovanni, seguendo la numerazione ai margini del brevetto (faccio riferimento alla versione in inglese), nella prima pagina i paragrafi che vanno da 10 a 30 descrivono una cartuccia (la plastica non è esplicitamente citata, ma viene descritto il meccanismo per bucare la cartuccia attraverso un elemento residente nella sezione, e quindi le cartucce devono essere sigillate e perforabili), quelli da 35 a 45, come ulteriore miglioramento descrivono una modifica che rende la cartuccia un converter. I due tipi di cartucce sono illustrate nelle fig. 3 e 7 (vedi anche paragrafi 55-65 sempre a pagina 1). Per la DP2 io ho diverse cartucce in plastica (ne esistono di almeno due tipi), ma mi manca il converter.
Comunque siamo sul filo di lana (visto anche il brevetto Edacoto), i tempi erano maturi ed alla cartuccia in plastica sono arrivati contemporaneamente più inventori (come succede spesso in questi casi), tra le primogenite, la Duo-Cart e la CF sono senz'altro le penne che hanno avuto maggior successo e diffusione (la DP2 resta comunque il primo, e forse unico, esempio di innovazione in campo stilografico apportato da una azienda del sud italia).
Alfredo
P.S. mentre scrivevo è arrivata anche la risposta di Massimo: le cartucce che ho io sono fatte in maniera diversa (quindi i tipi passano a tre). Al paragrafo 10 del brevetto c'è indicato quello che, secondo me, costituisce l'elemento distintivo tra una cartuccia ed un converter: la cartuccia è sigillata e deve essere perforata quando si innesta nella sezione.