Italia - Germania: ..........
In occasione del mio ultimo ordine, il buon Marco di “Casa della Stilografica” mi ha mandato una Pelikan Souveran M1005, edizione speciale della nota Souveran M1000, in livrea nera e con le finiture argentate, chiedendomi di farne la recensione.
Confesso di averci riflettuto sopra qualche giorno. Una penna che ha la stessa “meccanica” dell’ammiraglia della serie Souveran e se ne differenzia solamente per il colore della resina e delle parti metalliche è scontato che scriva bene e se non lo fa è perché è il singolo esemplare ad essere difettoso, non perché la penna è stata progettata o realizzata male. Si può dare per assodato che una casa come Pelikan, che è nota per realizzare ottime penne a partire da quelle scolastiche da pochi Euro, non si giochi certo la reputazione su un modello di punta. Caso volle che proprio il giorno in cui è arrivata la Pelikan, mi sia messo a sistemare alcuni appunti con la mia Delta Dolce Vita, il modello a pistone, e quindi che le due penne si siano trovate fianco a fianco sulla mia scrivania. Da lì è nata l’idea di metterle a confronto, una contro l’altra in una ipotetica sfida Italia-Germania, il cui esito, l’ho scoperto usandole assieme, non è affatto scontato.
Entrambe le case non necessitano di presentazioni, Pelikan è una casa che produce penne stilografiche ed inchiostri praticamente da sempre. La serie Souveran (sovrana) contraddistingue le penne di pregio del marchio, dotate di pennino in oro e del famoso meccanismo di caricamento a stantuffo differenziato. La serie 1000, da cui la 1005 deriva, è il top della produzione “normale” (le virgolette sono d’obbligo). Per avere di più si deve passare alle serie limitate. Se Delta non può vantare la tradizione di Pelikan, la casa napoletana è stata fondata nel 1982, questa azienda ha saputo conquistarsi rapidamente uno spazio nelle preferenze degli appassionati, ed è uno spazio più che limitato, grazie alla combinazione di qualità e design dei propri prodotti. La Dolce Vita, nelle sue varie declinazioni, è la colonna portante catalogo Delta, oltre ad essere una delle penne italiane più conosciute del mondo, e la versione a pistone è senza dubbio quella preferita dagli appassionati.
Estetica e design 0-0Come si è detto, sono entrambe penne di pregio, ammiraglie al top delle rispettive gamme. Come tali vengono vendute in confezioni adeguate. La M1005 arriva in una scatola di forma circolare, contenente la penna, un astuccio in pelle bianca chiuso da un elastico che dovrebbe servire come custodia (anche se in questo tipo di utilizzo tende a sporcarsi facilmente) e un calamaio di inchiostro da 50 ml della serie Edelstein, ovvero gli inchiostri premium di Pelikan. Nel mio caso Marco, conoscendo la mia passione per i blu-neri, ha inserito la boccetta di Tanzanite. La confezione della Dolce Vita invece è un omaggio alla creatività italiana. Si tratta di una scatola di cartone nero di forma rettangolare. Al suo interno si trovano un calamaio di inchiostro Delta e una bellissima scatola di plastica chiusa da due viti zigrinate, all’interno della quale si trova, protetta da un abbondante rivestimento di materiale espanso, la penna vera e propria. Una volta tolte le penne dalle rispettive confezioni, ci si rende conto subito del fatto che sono due mondi a parte.
La Pelikan M1005, messa da parte la livrea a righe della serie Souveran, che però i tedeschi chiamano Stresemann, perché ricalca i completi a righe indossati da Gustav Stresemann, considerato l’ultimo grande statista della repubblica di Weimar, in questa serie speciale di presenta con una carrozzeria completamente nera con i dettagli cromati. Mi ricorda le grosse berline Mercedes della serie S, abbreviazione di “Sonderklasse”, per sottolineare il fatto che si tratta di una classe di automobili a sé stante, un gradino sopra anche gli altri modelli della casa di Stoccarda. Se tiriamo in ballo la linearità e l’essenzialità del design, il pensiero va al Bauhaus e agli elettrodomestici Braun. Se non fosse per le dimensioni imponenti (è lunga ben 14,7 cm) e per il pennino enorme in oro 18K, potrebbe passare inosservata, quasi a voler sottolineare che quel che conta è all’interno. Inutile dire che la clip è a forma di becco di pellicano, il cappuccio reca il in pellicano simbolo della casa e un anello con la scritta “Pelikan Souveran Germany”. La chiusura del cappuccio è a vite, per svitarlo e riavvitarlo serve mezzo giro, abbastanza per evitare una apertura accidentale con la penna nel taschino, anche se avrei preferito un giro completo, per maggiore sicurezza. Il meccanismo di caricamento è quello a stantuffo differenziato. A differenza di Delta, che protegge la ghiera di azionamento del pistone sotto un controfondello, nella Pelikan la ghiera è integrata nella parte finale del fusto, separata dal cilindro da un anello, tuttavia l’azionamento offre una discreta resistenza, sufficiente ad evitarne il movimento accidentale, ad esempio infilando la penna in un portapenne. E’ la penna che ci si aspetta di veder uscire dal taschino di un capo di stato per firmare un importante trattato internazionale, lo stesso capo di stato che si è fatto portare all’appuntamento a bordo, appunto, di una elegante e confortevole berlina Mercedes Classe S.
La Dolce Vita invece è un esempio di come il design italiano non tema confronti. L’equilibrio tra il cappuccio, l’impugnatura e il tappo copri fondello neri e il cilindro di un colore arancione vivace screziato che ricorda quello della lava di un vulcano, la fa uscire dall’anonimato senza renderla di cattivo gusto. La penna combina magistralmente elementi di design antichi e moderni. Definirla bella è riduttivo. E’ una penna che si può usare in tutte le occasioni, senza temere che appaia fuori posto perché troppo seriosa o troppo vivace. Come per la Pelikan, il cappuccio reca il simbolo della casa. La clip è quella classica con la rotellina “anni 30”, che serve a facilitare l’inserimento nel taschino. Sul lato opposto sono incisi il nome della casa, quello del modello e il numero di serie. Pur essendo un modello di “normale” produzione (anche in questo caso le virgolette sono d’obbligo), l’indicazione del numero di serie conferisce un tocco di unicità, certamente gradito agli appassionati. Completa il cappuccio la vera, che reca un motivo ripreso dagli affreschi di Pompei. Il pennino è in oro 14 K. Anche il cappuccio della Delta è a vite. A differenza della Pelikan richiede un giro completo per essere avvitato o svitato, e questo particolare dovrebbe offrire una maggiore garanzia contro le aperture accidentali. Per svitare il tappo copri-fondello invece servono oltre tre giri, non vi è quindi il rischio che si sviti accidentalmente e vada perso.
Entrambe le penne sono dotate della finestrella per la visione del livello dell’inchiostro, ma quella della Pelikan è verde scuro e per vedere il livello bisogna tenere la penna in controluce. Quella della Delta invece è quasi trasparente ed è molto ben visibile, parzialmente anche con il cappuccio avvitato.
L’estetica è un fattore strettamente personale, ciascuna delle due penne interpreta, a modo suo, il ruolo della penna di prestigio. Entrambe le penne sono vendute in confezioni all’altezza del prezzo e dei rispettivi marchi. Ammettendo quindi che la valutazione dell’estetica è legata ai gusti personali, entrambe le penne sono, a mio parere, molto belle e meritevoli di entrare in una collezione, penso che sia corretto far finire il confronto su questo aspetto in perfetta parità, direi a reti inviolate.
Realizzazione e qualità 1-0Da una penna che costa una milionata delle vecchie Lire ci si aspetta come minimo che sia fatta bene, e da questo punto di vista entrambe le contendenti non deludono, pur essendo le parti a vista realizzate in plastica. La qualità dei materiali e delle finiture è di prim’ordine per entrambe. Sono tutte e due penne fatte per durare. Si potrebbe sottolineare che il pennino della Delta è “solo” 14K, mentre quello della Pelikan è 18K e per giunta realizzato da Pelikan stessa. Però la Delta può vantare le finiture in argento massiccio 925 millesimi, la lavorazione da barra piena e il tappo copri fondello che nasconde la ghiera di azionamento del meccanismo dello stantuffo, che è dotato di frizione a fine corsa per evitare il danneggiamento accidentale. A questo si aggiungono altri piccoli dettagli, come il numero di serie inciso sul cappuccio, la clip con la rotellina, la finestrella per verificare il livello di inchiostro visibile senza dover mettere la penna in controluce e addirittura senza svitare il cappuccio.
Se poi passiamo alla sensazione di qualità percepita, la M1005 sconta il limite che avevo già evidenziato a proposito della M605, ovvero il fatto di essere molto simile alle sorelle di minor pregio e di avere l’apparenza di una normale penna di plastica nera. Un po’ come i modelli di automobili Audi, accusati dai critici di essere fotocopie in scala diversa uno dell’altro. Come per la M605, se si vanno ad analizzare i contenuti tecnici, il posizionamento di mercato e il prestigio del marchio, allora il giudizio cambia. Se poi si prende in mano la penna, ci si rende conto che è un prodotto di sostanza. Alla fine si capisce che il prezzo è giustificato. Tuttavia la sensazione di avere comprato una M205 che ha fatto una cura di ormoni resta in un angolo del cervello e può essere difficile da scacciare. Per contro la Delta, pur avendo anch’essa delle sorelle più economiche, se ne differenzia maggiormente nel design. Va dato adito a Delta di avere saputo dare ad ogni penna della serie Dolce Vita una propria personalità, senza limitarsi a fare delle copie in scala.
Forse, se avessi confrontato una M1000 nella classica livrea a righe con la Dolce Vita, il mio giudizio sarebbe stato diverso e concludersi in parità, essendo queste penne, come quelle della serie Dolce Vita, inconfondibili rispetto alla concorrenza. Limitandomi alle due penne prese in esame, secondo me il piatto pende leggermente dalla parte della Delta per i motivi suddetti, a cui si aggiunge la garanzia a vita, segno della fiducia che Delta ripone nella qualità dei propri prodotti, anche se, lo ripeto, la Pelikan è una penna fatta bene, con materiali di qualità e con un pennino in oro 18K.
Peso e dimensioni 1-1Anche questo è un match che finisce in perfetta parità.
Sono entrambe penne “importanti”, siamo oltre i 14 cm di lunghezza, il che non le rende adatte a tutti i portapenne. La Pelikan, con i suoi 14,7 cm è leggermente più lunga della Delta, che supera di un soffio i 14 cm. La differenza si riduce se la misura viene effettuata senza cappuccio. La Delta presenta un diametro del fusto leggermente superiore, anche a livello di impugnatura, che ha un diametro maggiore di circa 2 mm. Questo è un fattore di cui tenere conto se non si apprezzano le impugnature troppo larghe. Per contro il pennino della Pelikan è circa 3 mm più lungo, il che si traduce in una maggiore distanza tra l’impugnatura e la punta del pennino. Chi ama la cosiddetta “impungatura bassa”, ovvero preferisce tenere la penna impugnandola molto in basso, vicino al pennino, potrebbe avere qualche problema.
La differenza di peso è significativa, con il “pieno” di inchiostro ho misurato 35 g per la Pelikan e 42 per la Delta. In realtà la Delta ha un cappuccio realizzato per tornitura e non per stampaggio e quindi più pesante anche se più corto. Infatti senza cappuccio il peso diventa 25 per la Pelikan e 29 per la Delta. Il peso elevato è legato al fatto che entrambe le penne sono dotate di un meccanismo di caricamento a stantuffo realizzato in ottone, in ogni caso sono ben bilanciate e non stancano nelle sessioni di scrittura prolungate.
Entrambe le penne possono essere usate con il cappuccio calzato. Tuttavia mi sento di sconsigliarlo, perché il peso del cappuccio va ad aggiungersi a quello del meccanismo di caricamento e la penna, oltre che allungarsi di circa 3 cm, diventa molto sbilanciata verso il fondo, dal mio punto di vista scomodissima da usare. Non avendo questa abitudine, non posso commentare sull’usura nel tempo, ma la mia impressione è che in entrambi i casi il cappuccio calzato vada a toccare la resina e che con il passare del tempo possano comparire dei segni sul cilindro.
Pennino e prestazioni 1-0Ho confrontato la Pelikan con il pennino fine e la Dolce Vita con quello medio. Entrambe le penne montano un pennino di dimensioni generose, che ben si abbina alle dimensioni della penna. Quello della Pelikan è veramente enorme, come si vede dalle immagini.
Per quanto riguarda la Dolce Vita, il pennino è una vecchia conoscenza, essendo lo stesso montato su tutta la serie “Mid-Size”, sia a cartucce che a pistone, nonché sulle serie derivate, come la Gallery e la Blue-Jay.
Nel corso del tempo ho usato questa penna con molti inchiostri, sia “economici”, come i Monteverde o i Diamine, sia “pregiati”, come i Pilot della serie Iroshizuku. Ultimamente è inchiostrata a Diamine Midnight. Il tratto del pennino medio è circa a metà tra quello dei pennini medi di scuola orientale e quelli di origine tedesca (Pelikan o Lamy), con una leggera tendenza verso questi ultimi. Dal mio punto di vista rappresenta uno splendido equilibrio per una penna di queste dimensioni, sia in termini di larghezza del tratto che di flusso. Lo si può usare con tranquillità con una ampia gamma di inchiostri e di tipologie di carta, basta tenersi alla larga dagli estremi. Dalle informazioni che girano in rete è di fabbricazione Bock, marchio che rappresenta una garanzia nel settore. E’ rigido ma non rigidissimo e garantisce un ottimo feedback nonostante l’impugnatura larga. La scorrevolezza è molto buona, anche se non si può dire che sia un pennino di burro. Dal mio punto di vista la scorrevolezza è quella ideale, c’è giusto quel minimo di resistenza che permette di avere un certo feedback e di scrivere su carta molto lucida senza che si verifichino salti di tratto. Infatti questi ultimi sono del tutto assenti, anche scrivendo molto velocemente. La penna incomincia a scrivere senza la minima incertezza, anche dopo che è rimasta senza cappuccio per qualche minuto oppure inutilizzata per giorni in posizione verticale. L’alimentatore è correttamente dimensionato, come in tutte le penne Delta che ho avuto. Sono arrivato a scrivere per una decina di pagine praticamente senza interruzioni, senza osservare quella fastidiosissima riduzione di flusso che si manifesta nelle penne che hanno un alimentatore sottodimensionato rispetto al pennino. L’autonomia del serbatoio è leggermente superiore a quella di una cartuccia, con il mio stile di scrittura viaggio intorno alle 15 pagine A4, contro le 12 di una Faber Castell con pennino fine, che è solo leggermente più sottile come tratto. In teoria potrei scrivere qualche pagina in più, ma non è consigliabile lasciar andare la penna a secco, per i motivi che spiegherò in seguito.
Il pennino fine della Pelikan è tutta un’altra bestia. Oltre ad essere enorme, il tratto è largo, molto più largo di quel che mi aspettavo, pur conoscendo il marchio. Pur essendo un fine, scrive più largo del medio Faber Castell e del medio della Pelikan M205. Considerando che è appunto un fine, non oso pensare a quanto spesso sia il tratto del pennino largo o extra-largo. Gli amanti dei pennini di scuola giapponese si tengano alla larga. E’un pennino molto scorrevole, la penna scivola sulla carta senza opporre la minima resistenza, nell’usarlo vien veramente voglia di accarezzare la carta, tanto più che, pur non potendolo definire un vero e proprio flessibile, risponde alla pressione con una certa elasticità e consente di modulare il tratto. Ma quel che differenzia questo pennino da tutte le altre penne che ho utilizzato è il flusso. Non è un pennino, è un annaffiatoio. Oltre ad essere largo, il tratto è molto bagnato, stracarico di inchiostro. Questo, che a molti potrà sembrare un pregio, nel mio caso si è rivelato un grosso limite.
Inizialmente ho caricato la penna con il Tanzanite in dotazione, un inchiostro a me noto per essere particolarmente fluido. Il risultato è stato devastante, scrivere con la mia calligrafia minuta era come annaffiare le margherite con la manichetta antincendio. Anche sulla carta Clairefontaine da 90 grammi a metro quadro che uso di solito e che è nota per essere particolarmente liscia e poco assorbente, non solo si notava il bleed through, ma in qualche punto restavano segni sulla pagina successiva. Sono quindi passato ad un inchiostro dalle caratteristiche medie, il Diamine Presidential Blue, che mi ricordavo di avere usato con successo nella M205. Qui la situazione è un po’ migliorata, la penna è diventata utilizzabile sulla carta Clairefontaine senza bleed through, ma il flusso era ancora difficile da gestire. Alla fine mi sono arreso e sono andato a ripescare una vecchia boccetta di Pelikan 4001 Blue-Black, un inchiostro noto per essere poco fluido. Infatti con questo inchiostro la penna è diventata utilizzabile. Il flusso resta estremamente abbondante, ma la si può usare normalmente, purchè la carta sia di buona qualità. E anche qui bisogna starci attenti, perché una quantità così grande di inchiostro richiede tempi biblici per asciugare. Per poter girare pagina e continuare a scrivere senza dover aspettare qualche minuto per consentire all’inchiostro di asciugarsi, sono dovuto andare a ripescare un foglio di carta assorbente. Le altre caratteristiche del pennino sono di prim’ordine, i salti di tratto sono inesistenti e le ripartenze immediate, anche dopo un quarto d’ora senza cappuccio. Il che, per un inchiostro poco fluido come il Pelikan Blue-Black, è un record che resterà sicuramente nei miei annali. Infine l’alimentatore è perfettamente bilanciato sul pennino, il flusso si mantiene costante indipendentemente dal livello dell’inchiostro nel serbatoio e non diminuisce nemmeno dopo qualche pagina di scrittura senza interruzioni. Inizia a calare solo quando tutto l’inchiostro contenuto nel serbatoio è stato consumato e si sta utilizzando la quantità residua contenuta nell’alimentatore.
Sulle sfumature ho qualcosa da dire. In teoria il pennino elastico dovrebbe esaltarle, in realtà dipende molto da come uno scrive, nel senso che se si scrive a stampatello con grafia minuta, come faccio spesso io, allora il flusso abbondante cancella tutto e il tratto tende ad apparire uniforme. Se invece si sciolgono le briglie e si scrive con grafia extralarge e con abbondanza di ghirigori, allora non c’è storia e penna che tenga. Quando prendi in mano questa penna e provi a giocarci sulla carta, ti senti veramente un capo di stato mancato, in men che non si dica ti trovi a ripetere sul foglio la tua firma, facendo scivolare il pennino sulla carta come un pattinatore sul ghiaccio e dosando il tratto per modulare la pressione e ottenere risultati che sarebbero impossibili con una biro. E’ una sensazione impagabile, non fosse che per comprare questa penna ci vogliono 500 Euro, ti verrebbe da prenderne una solo per firmare in grande stile. Che forse è il motivo principale per cui esiste una penna del genere, firmare nelle occasioni ufficiali. Per impieghi meno mondani, la stessa gamma Souveran offre penne che meglio si prestano ad un uso continuo su carta non troppo pregiata. A cominciare dalla M605 di cui sono possessore ed utilizzatore soddisfatto.
Chiaramente un flusso così abbondante si traduce in consumi di inchiostro confrontabili con quelli di carburante di un aereo al decollo. Nonostante il serbatoio da due cubici, quasi il doppio di una penna a stantuffo tradizionale, l’autonomia che ho riscontrato è stata inferiore a quella della mia Faber Castell con il pennino fine e una normale cartuccia. E’ vero che come per una Ferrari chi spende i soldi per comprarla non si fa certo problemi al distributore, ma meno male che il Pelikan Blue-Black è uno tra gli inchiostri più economici sul mercato.
Dovendo assegnare un punteggio, secondo me la vittoria va alla Delta. Il suo pennino non avrà la morbidezza e la scorrevolezza di quello Pelikan, però il flusso abbondante senza essere esagerato rende questa penna utilizzabile in un grandissimo numero di situazioni. Al di là del fascino che un pennino dal flusso copioso possa avere, nella vita reale ci si scontra con carta di qualità non proprio eccelsa e se si acquista una penna da 500 Euro con l’intenzione di usarla per qualcosa che non sia una breve annotazione o una firma, senza dover aspettare i tempi biblici di asciugatura per evitare di sbavare, e senza temere feathering e bleed through, allora la Delta vince a mani basse. Senza contare il fatto di poter utilizzare una ampia gamma di inchiostri, tenendosi alla larga solamente da quelli veramente poco fluidi. Però ci tengo a ribadire che questa non vuole essere una critica alla Pelikan, il fatto che questa penna abbia i suoi estimatori è la prova che le scelte di chi la ha progettata sono state volute e non sbagliate.
Caricamento e manutenzione 0-1Due pesi massimi. Pelikan scende in campo con la versione in ottone del meccanismo a stantuffo differenziato, sul quale sono già stati scritti fiumi di parole. Questo meccanismo è stato introdotto nel 1929 ed è stato continuamente perfezionato, ma il meccanismo di base è rimasto lo stesso: due filettature differenti fanno si che il pistone contenuto nella stilografica si muova più velocemente rispetto alla parte finale del fusto. Ormai è un classico e in questa sua ultima evoluzione funziona benissimo. Il movimento è molto fluido, quasi da orologeria, con la giusta resistenza, che è indispensabile per evitarne l’azionamento accidentale, dal momento che la ghiera non è protetta da un tappo, come nella Delta. Un sistema di caricamento che rasenta la perfezione. Sono sufficienti un paio di azionamenti per riempire il serbatoio fino in fondo. Operazione che sconsiglio ai deboli di cuore se il calamaio è di inchiostro pregiato, perché la casa dichiara una capacità del serbatoio di ben 2,2 millilitri, che corrispondono a circa tre cartucce internazionali corte. Abbastanza da vedere il livello dell’inchiostro nel calamaio che scende inesorabilmente mentre si carica la penna. Sapendo che per via del flusso esagerato, l’autonomia con un pieno non è tanto diversa da quella di una penna normale con una altrettanto normale cartuccia, le soste per il rifornimento rischiano di diventare frequenti, tanto più che il flusso abbondante spinge a scrivere più largo.
Delta risponde con un un meccanismo di caricamento a stantuffo, anch’esso realizzato in ottone, compresa la ghiera, che è nascosta da un tappo copri fondello. Anche il meccanismo Delta ha un movimento molto fluido e in più è dotato dell’esclusivo sistema a frizione, che evita di danneggiare il pistone se si insiste nell’azionarlo quando il pistone è arrivato a fine corsa. Una vera e propria finezza che rende l’idea della cura con cui la casa realizza i suoi prodotti. Infatti il sistema Delta funziona altrettanto bene di quello Pelikan. La capacità del serbatoio è inferiore ma l’autonomia è maggiore per via del flusso meno copioso. In pratica, la penna “fa più metri con un millilitro”. Tuttavia non lo si può definire ancora perfetto perché per non avere problemi è consigliabile ricaricare la penna senza lasciarla andare a secco. Se lo si fa, può capitare che quando il livello nel serbatoio si avvicina alla fine, la penna “ceda” l’ultima goccia, che finisce o sul foglio di carta o sulle dita di chi sta scrivendo, o su entrambi, con le inevitabili imprecazioni del caso. Probabilmente questo accade perché quando il serbatoio è quasi vuoto si perde quell’equilibrio tra capillarità e gravità che permette all’alimentatore di assicurare il giusto flusso al pennino. Non succede tutte le volte, però può capitare e a me successo almeno una volta con tutte le Delta a pistone della serie Dolcevita e derivate che ho avuto. Fortunatamente è un problema di soluzione abbastanza semplice, basta ricaricare la penna prima che il livello dell’inchiostro scenda sotto la metà della finestrella, oppure, se uno non vuole stare a guardare continuamente il livello, quando si nota che il flusso inizia a smagrire. In pratica si deve considerare il livello nella finestrella come la riserva di benzina della macchina, appena si accende la spia fare rifornimento. Da quando faccio così, non ho avuto il benché minimo problema, al punto che ormai considero questa più come una caratteristica della penna che una scocciatura. Tuttavia, dovendo assegnare il punteggio, è chiaro che la vittoria sul fronte del sistema di caricamento non possa che andare alla Pelikan.
Qualità/Prezzo 1-1 Euro più, Euro meno, per comprare una di queste penne ci vogliono 5 banconote da 100 Euro, un milione delle vecchie lire. E’ una cifra importante, che richiede una scelta ponderata. Tutte e due sono penne di ottima qualità, sia nei materiali che nella realizzazione, che è frutto di artigianato di alto livello. Del resto sono al top delle rispettive gamme. Dal punto di vista dei materiali, dei contenuti tecnici, dell’immagine e del fascino dei rispettivi marchi, ritengo che il prezzo sia più che giustificato. Sono entrambe penne che si acquistano con l’intenzione di tenerle ed usarle a lungo. La Delta mette sul piatto della bilancia il plus della garanzia a vita ma, se ben tenuta, vedo pochi motivi per cui una Pelikan dovrebbe rompersi per motivi non legati alla normale usura. Quindi un pareggio mi sembra il risultato più corretto.
Conclusioni 4-3Siamo arrivati alla fine di questa lunga prova e, almeno per quel che mi riguarda, Italia batte Germania 4-3. Come nella partita del 1970. E’ assai probabile che qualcun altro, rifacendo questo confronto, arrivi ad un risultato diverso. Molte delle valutazioni sono infatti frutto di considerazioni personali, legate al tipo di utilizzo che io faccio di una penna stilografica. Il fatto che entrambe queste penne abbiano la loro schiera di appassionati la dice lunga su come il sogno di qualcuno sia l’incubo di qualcun altro. Infatti, nel mio caso ha pesato tantissimo la maggior versatilità della Delta che, in cambio di un flusso molto meno copioso, mi permette di usarla in un grande numero di situazioni, con quasi tutti i miei inchiostri preferiti e con tutti i tipi di carta su cui scrivo normalmente. Sui tipi di carta sottile e molto assorbente in cui la Delta è inutilizzabile, molto probabilmente la Pelikan M1005 caricata a Tanzanite produce un risultato simile al multi copia.
Alla fine sono arrivato alla conclusione che si tratta di due ottime penne, ma sono, come dire, due “animali” diversi. Potendo, uno se le comprerebbe entrambe, sapendo poi di doverle destinare ad utilizzi diversi. Nella realtà, dovendo fare una scelta, è importante valutare l’utilizzo che si fa della penna e il piacere che se ne ricava e decidere. La Delta è sicuramente molto più versatile, ma il piacere di firmare con grafia svolazzante e flusso copioso è impagabile… La partita è, come dicevo all’inizio, molto aperta.