“Parker Duofold Cloisonné” – Edizione limitata
Credo che il marchio Parker non abbia bisogno di presentazioni, legato com’è in maniera indissolubile alla storia della penna del ventesimo secolo. Anche se oggi la sua immagine si è un po’ appannata e soprattutto il marchio Parker è diventato sempre più sinonimo di penna a sfera, grazie al successo del modello Jotter, sulla breccia da oltre mezzo secolo, nella sua lunga storia la casa americana vanta modelli di penne stilografiche di assoluta eccellenza, come i modelli “51”, “75” e, appunto, “Duofold”. Oggi il marchio Parker fa parte della galassia Newell Rubbermaid, insieme con la rivale Waterman, Rotring e Paper Mate, in una coabitazione non priva di qualche difficoltà, i vari marchi faticano a ritrovare ognuno la propria identità, e sacrificio, come la chiusura dello storico stabilimento inglese.
Penne a sfera Jotter a parte, mi sono sempre tenuto alla larga da questo marchio, principalmente a causa del formato cartucce proprietario. Con l’unica eccezione di Lamy, ho sempre preferito le penne che utilizzano cartucce internazionali, per la maggiore scelta di inchiostri e produttori, che permette di individuare più facilmente l’inchiostro che meglio si adatta ad una certa penna, sia in termini di prestazioni assolute che di tonalità e risposta alle proprie esigenze personali. Alla fine mi sono deciso ad entrare nel mondo (stilografico) Parker e, più che un ingresso, si è trattato di una entrata trionfale, dal momento che l’ho fatto con questa “Duofold Cloisonnè” in edizione limitata di 3900 esemplari che Marco de La Casa della Stilografica è riuscito abilmente a scovare e mettere in vendita sul suo sito ad un prezzo che, unito allo sconto speciale per noi forumisti, ha fatto crollare le mie ultime ritrosie. A volte ho l’impressione che per Marco vendere una penna, soprattutto quando si tratta di una penna particolare come questa, non sia una semplice operazione commerciale, ma qualcosa che si avvicina quasi all’adozione, come se si preoccupasse di sapere che l’esemplare che lascerà il suo negozio di Firenze sia destinato a finire tra le mani di un appassionato che lo tratterà con cura. In ogni caso il dado è tratto (Alea Iacta Est), la penna ha oltrepassato l’Arno prima e il Po dopo e si trova (saldamente) nelle mie mani.
Estetica e design 10Giudicare l’estetica di una penna che fa parte della storia non è facile. La “Parker Duofold Cloisonné” è una reinterpretazione della “Duofold Mandarin Yellow”, probabilmente la più famosa tra le penne Parker, introdotta nel 1927. L’elemento distintivo di questa serie numerata è il colore giallo del cilindro e del cappuccio, ispirati ai vasi orientali. In questo caso l’aggiunta del termine Cloisonné è legata alla presenza sul cappuccio di una decorazione raffigurante un vaso e realizzata con la tecnica cloisonné. Da Wikipedia ho scoperto che il cloisonné, chiamato anche lustro di Bisanzio, è una tecnica di decorazione artistica a smalto, nella quale dei sottili fili, listelli oppure piccoli tramezzi metallici (di solito in rame) vengono saldati o incollati ad una lastra di supporto dell'opera da costruire in modo tale da formare alveoli o celle (detti in francese cloisons). Successivamente viene colato dello smalto all’interno di ciascuna cella, ottenendo quindi una sorta di mosaico le cui tessere sono circoscritte dai listelli metallici. Questa tecnica in Oriente, in particolare in Cina, veniva usata per decorare i vasi, che prendono appunto il nome di vasi cloisonné.
La penna mi è arrivata in una scatola di cartone, che serve a proteggere un cofanetto in legno laccato, rivestito internamente in velluto nero. Dopo averlo aperto, non senza una certa riverenza, ho trovato la penna, un calamaio di inchiostro nero Parker Penman e la documentazione, completa di certificato di autenticità. Si tratta senza dubbio di una presentazione adeguata al livello della penna, considerato il fatto che, a differenza di molte penne di uso quotidiano, molti appassionati conserveranno la confezione insieme alla penna.
La penna è di dimensioni medie, più o meno come una Delta “Dolcevita”. E’ veramente bella a vedersi. Il cappuccio ed il cilindro sono in resina gialla, nel colore particolare della “Mandarin Yellow”. La parte terminale del cappuccio, quella del cilindro, e l’impugnatura sono in resina nera. Gli stacchi di colore sono valorizzati da anelli dorati. Il cappuccio presenta ulteriori due anelli. La clip è la parte più tradizionale, simile a quella della “Duofold” originale. A differenza di realizzazioni della concorrenza la clip non presenta il meccanismo a molla ma la sua elasticità è garantita da forma e materiale. Manca anche la rotellina per facilitare l’inserimento nel taschino, comune alle penne ispirate a quelle del passato. Sulla parte terminale del cappuccio è inserita una medaglia, realizzata con la tecnica cloisonné e che rappresenta un vaso, con le scritte “Duofold” e “Cloisonnè”. Sul cilindro sono incise le scritte: “DUOFOLD”, “GEO. S. PARKER - PARKER PEN CO” e “FOUNTAIN PEN”, insieme ad un nastro che al suo interno reca il numero di serie xxxx/3900. Sul fondo del cilindro sono incise le scritte “PARKER” “y.III” e “Made in UK”. Il cappuccio è a vite e richiede quasi due giri per essere svitato. Rivela una impugnatura rastremata ed un bellissimo pennino bicolore in oro 18K, di dimensioni generose e perfettamente adeguato alle dimensioni (e all’importanza) della penna. E’ finemente inciso e presenta le scritte “DUOFOLD”, “PARKER” e “18K –750”. Per conoscerne la misura bisogna capovolgerlo e leggere la lettera stampata sul conduttore, in questo caso “M”. Infine, svitando il cilindro si accede al converter, che è quello standard Parker con innesto a pressione, impreziosito solamente dalla doratura delle parti metalliche. La penna può essere alimentata anche con le cartucce Parker, disponibili in due misure.
Realizzazione e qualità 9,5Non si può dire che sia una penna fatta male. E’ realizzata quasi interamente in resina e gli assemblaggi sono molto curati, non si evidenziano giochi o linee di giunzione. Le dorature sono ben fatte e dovrebbero garantire anni di utilizzo. La decorazione con il vaso cloisonné è un piccolo capolavoro, così come il pennino bicolore. Le incisioni sul cilindro riportano la memoria ai prodotti di un tempo, prima che inventassero i marchi a rilievo e le etichette metallizzate. Le Duofold sono entrate nella leggenda per la loro qualità costruttiva, la loro robustezza e l’ergonomia, al punto che molti esemplari sono ancora in uso quotidiano, e questo modello non fa eccezione. Ai tempi della prima “Duofold” la plastica era considerata un materiale “moderno”, pregiato ed era ancora poco diffusa. I polimeri che oggi usiamo tutti i giorni dovevano essere ancora inventati. Oggi plastica spesso è sinonimo di prodotto economico. Ciononostante il sapiente uso dei dettagli e la qualità della realizzazione fa si che questa “Duofold Cloisonné” sia ben lontana dal trasmettere una sensazione di economicità. Non si sente affatto la mancanza del metallo.
Gli unici appunti, che mi hanno trattenuto dal dare il massimo dei voti, sono le filettature in plastica del cappuccio e del cilindro (quest’ultima è di metallo dal lato dell’alimentatore), aspetti che rimandano alle penne più economiche, per quanto la resina della “Duofold” sia sicuramente di qualità superiore, e soprattutto la presenza del converter. Su una penna di questo pregio non dico che il caricamento a stantuffo sarebbe stato un imperativo categorico, ma, noblesse oblige, almeno si sarebbe potuto installare un converter dotato di filettatura, per evitarne lo sganciamento accidentale. Il converter Montegrappa è un esempio di come, pur restando sulla “proletaria” alimentazione a cartuccia/converter, si possa realizzare un converter di qualità che, capacità di inchiostro a parte, non faccia troppo rimpiangere il caricamento a pistone.
Peso e dimensioni 10La realizzazione quasi interamente in plastica contribuisce a contenere il peso, che a penna carica è di 27,6 grammi, di cui 18,6 sono per la penna e 9 per il cappuccio. Le dimensioni della penna sono quelle che ci si attende da una penna di pregio, siamo a poco meno di 14 centimetri di lunghezza e circa 13 millimetri di larghezza del cilindro, che diventano 15 per il cappuccio. Nella zona dell’impugnatura il diametro si restringe progressivamente ad 11 millimetri, garantendo una maggiore ergonomia. E’ questo un punto che rivela come quando un prodotto rimane sul mercato per lungo tempo, non è mai per caso. La “Duofold” è una penna che è stata progettata e realizzata quando i computer non esistevano, le macchine da scrivere erano una rarità, la biro era lungi dall’essere inventata e l’unico modo per scrivere qualcosa su carta era usare una penna o una matita. E’ una penna che si presta benissimo all’uso prolungato, se si adotta l’impugnatura classica, quella che insegnavano a scuola, la penna cade perfettamente nella mano e non stanca anche dopo qualche ora di scrittura continua. Grazie alla rientranza della parte finale del cilindro, che permette al cappuccio di calzare senza incertezze, si può scrivere abbastanza comodamente anche con il cappuccio calzato. Scrivo “abbastanza” perché in questa condizione la penna è lunga oltre 17 centimetri e per me diventa scomoda, oltre al rischio nel lungo periodo di lasciare segni sulla resina del cilindro. Tuttavia, devo ammettere che io scrivo senza calzare il cappuccio con tutte le mie penne, anche quelle che sono predisposte per questo, come la Faber Castell Ambition.
Pennino e prestazioni 8,5La penna monta un pennino bicolore in oro 18k di tratto medio e dimensioni generose. E’ uno di quei pennini che ti viene voglia di svitare il cappuccio solo per ammirarlo, anche se non devi usare la penna. Ho fatto un prelavaggio con acqua per rimuovere eventuali residui. L’acqua è uscita leggermente grigia, segno che la penna è stata provata. Marco mi ha confermato di averla testata prima di spedirmela.
Ho quindi caricato la penna con una mia vecchia conoscenza, il Diamine Presidential Blue, utilizzando il converter in dotazione, ed ho cominciato i miei test di scrittura, scoprendo che il flusso non è abbondante… di più. Disastro pennistico totale! La penna non è un annaffiatoio ma un idrante. In pratica su carta da fotocopie era inutilizzabile a causa del feathering e del bleed thorugh e anche sulla carta Rhodia non è che andasse molto meglio, anzi, i tempi di asciugatura erano biblici. Il tratto del mio classico stampatello era più largo di un centimetro e sono bastate un paio di pagine di scarabocchi e frasi senza senso per esaurire la carica del converter. In pratica una penna inutilizzabile, se non per fare qualche firma su un documento e solo avendo cura di passare il tampone di carta assorbente per evitare sbavature.
Per un attimo ho pensato di avere tra le mani una penna da collezione, di quelle destinate a far bella mostra di sé dentro la loro confezione sul ripiano di una vetrina. Esattamente l’opposto della mia concezione di penna. Se compro una penna è perché la voglio usare, altrimenti va in adozione o in prestito permanente effettivo a qualcun altro e, se non scrive come dovrebbe e non è riparabile, finisce rottamata. E’ stato a questo punto che ho avuto l’illuminazione e mi si è accesa la lampadina (tranquilli, il mio cervello è in classe A+, nel senso che la lampadina è a risparmio energetico). Mi è venuto in mente che qualche anno fa (nel Berlusconiano superiore o giù di lì) avevo letto che gli inchiostri Parker erano abbastanza “granulosi” e poco fluidi. Tant’è che chi aveva provato ad usarli in penne che non erano le Parker se ne lamentava appunto in rete. Mi si è fatta quindi strada l’idea che la penna necessitasse di un inchiostro diverso. Solo che del “vino della casa”, ovvero delle cartucce Parker non ne volevo sapere. Seconda lampadina accesa: mi ricordavo anche che nelle penne Aurora, che utilizzano cartucce simili a quelle Parker, si possono usare le cartucce Lamy, anche se questa “compatibilità” non è dichiarata. Da appassionato di blu-neri non posso che apprezzare il Lamy Blue-Black, che uso nelle mie penne Lamy ed Aurora e che è un inchiostro non molto fluido. Vuoi vedere che…
Detto, fatto. Ho rimosso il converter, sciacquato la penna e ho caricato una cartuccia di Lamy Blue-Black, che si è incastrata senza problemi. La penna è rinata. Ora il flusso è adeguato senza essere esagerato e il tratto è quello che ci si aspetta da un medio europeo. La penna scrive senza incertezze o salti di tratto e riparte senza problemi anche dopo qualche minuto di inutilizzo senza cappuccio. Oggi l’ho usata ininterrottamente per alcune ore, esaurendo una cartuccia e ne ho apprezzato l’ergonomia e il controllo del tratto che l’impugnatura consente, nonostante il pennino oversize. Non ho ancora avuto modo di testare la ripartenza dopo qualche giorno di inutilizzo, ma le premesse mi paiono buone. In pratica è come quelle vecchie automobili che hanno bisogno della benzina con il giusto numero di ottano perché il motore possa cantare anziché borbottare e scoppiettare. Il paragone con le vecchie automobili ci sta tutto, anche per un altro motivo. Il pennino scrive benissimo, ma per farlo richiede che la penna venga impugnata correttamente. In altre parole la “Duofold”, almeno l’esemplare che ho io, è estremamente intollerante nei confronti di una impugnatura non corretta. Basta inclinare il pennino di poco perché il flusso smagrisca e compaiano salti di tratto. Non ha la tolleranza che offrono, ad esempio, molte penne scolastiche moderne, che hanno pennini con le punte quasi sferiche. Più che un difetto, questa secondo me è una caratteristica precisa e per certi versi mi dispiacerebbe se non fosse così. Una penna del genere merita rispetto, non la puoi impugnare come se fosse uno scalpello e pretendere che scriva. Ai tempi della prima Duofold le persone che se la potevano permettere sicuramente sapevano benissimo come andava impugnata, e trovo corretto che noi, quasi un secolo dopo, si debba fare un piccolo sforzo per usarla con rispetto, come si conviene all’erede di una leggenda. Non farlo sarebbe come invitare una dama d’altri tempi per una serata romantica, presentandosi in tuta da ginnastica per portarla a mangiare da McDonald.
Caricamento e manutenzione 6Forse la parte meno riuscita, quella in cui ci si deve arrendere al mutare dei tempi. Da una penna di questo lignaggio (e prezzo) ci si attenderebbe il caricamento a stantuffo, a siringa rovesciata o qualche altro meccanismo d’antan. Purtroppo il mercato detta le regole e sono sempre più le penne di pregio che si convertono al sistema di caricamento a cartuccia/converter. Che a dire la verità presenta vantaggi innegabili di costo, semplicità, praticità e facilità di manutenzione, pur facendo perdere ad una penna di questo livello molto del suo fascino. Mi rendo conto che sto scivolando nelle considerazioni filosofiche, ma, se posso tollerare il caricamento a cartuccia/converter su una penna moderna anche di pregio, su una penna come questa, che si richiama chiaramente ad un famoso modello del passato, la sua presenza si fa sentire. A spingere ulteriormente il voto verso il basso tuttavia è il converter in dotazione, che è un normale converter con innesto a pressione, non molto diverso da quelli universali che si trovano in commercio per le penne che utilizzano cartucce standard ed impreziosito solamente dalla doratura delle parti metalliche nel colore delle finiture della penna. Se proprio converter doveva essere, sarebbe stato opportuno utilizzare un converter con innesto filettato, in modo tale da rendere il sistema più robusto e prevenire lo sganciamento accidentale, magari dotandolo anche di un inserto metallico per facilitare lo scorrimento dell’inchiostro. Montegrappa e Delta (con la recente “The Journal” hanno dimostrato che si può realizzare un converter di qualità, adatto a penne di pregio. Detto questo, la semplicità del sistema di caricamento ovviamente riduce la necessità di manutenzione alla sciacquatura periodica sotto il rubinetto del gruppo di scrittura, per eliminare eventuali residui.
Qualità/Prezzo n.d.
Dare un voto su questo punto è una “mission impossibile”. Una penna come questa non si acquista per mero calcolo razionale ed il suo valore va ben oltre quello dei materiali dei quali è fatta e del costo dell’assemblaggio. La si compra perché si vuole provare quel sottile piacere di avere tra le mani un pezzo della storia della penna stilografica, seppure sotto forma di replica. Quanto vale la leggenda in termini monetari? Quali sono le concorrenti di questa penna ed a che livello di prezzo di posizionano? Penne di questo tipo sono ciascuna una storia a sé, chi le compra si aspetta che siano ben fatte e scrivano bene (ammesso che abbia intenzione di usarle e non le compri per collezionarle intonse). La “Parker Duofold Cloisonné” è ben fatta, gli unici appunti sono al converter, e, con le dovute precauzioni nella scelta dell’inchiostro più adatto e nella mano di chi la usa, scrive benissimo senza stancare. Tutto il resto è storia, se la si desidera veramente, il cartellino del prezzo (comunque non eccessivo, per lo meno quello praticato da Marco) diventa un optional.
Conclusioni 9Sono arrivato alla fine anche di questa prova. Cimentarsi con una leggenda di questo calibro non è stato facile e non me ne vogliate se questa recensione non è all’altezza delle altre. Sono entrato nel mondo Parker in pompa magna, con la riedizione di una tra le penne più famose, se non la più famosa, della casa, grazie anche all’intercessione di San Marco da Ven… pardon, Firenze, protettore di noi appassionati.
Mi sono trovato tra le mani una penna che paragonerei ad una sportiva degli anni ruggenti, quando le cose erano disegnate per essere belle, oltre che funzionali. Scrive molto bene ma necessita del giusto inchiostro e va impugnata come si deve ad una leggenda e come sicuramente ai tempi le persone sapevano fare con la sua antenata. Se escludo la questione converter, che ho analizzato nel dettaglio, e guardo a questa penna facendo finta di non conoscere il suo valore storico, direi che è una penna molto valida e ben costruita adatta all’uso quotidiano, cosa che ho in mente di fare, caricandola con le cartucce Lamy Blue-Black, che mi garantiscono maggiore autonomia rispetto al converter. Se poi su questa base aggiungo il fatto che sto scrivendo con un pezzo di storia, non posso che considerarmi (più che) soddisfatto. Ora, scusatemi, non devo scrivere niente ma vorrei dare un’altra svitatina al cappuccio per sbirciare il pennino e ammirare le incisioni sul cilindro.