Cari amici, quanto è stato bello (come sempre) passare qualche ora insieme!
Avrei voluto che questa giornata durasse il doppio, il triplo... e non sarebbe bastato.
Avrei voluto dividermi in due, in tre, in quattro per stare a tempo pieno con ognuno di voi!
Mi è piaciuto tantissimo il Penshow di oggi, anche se è stato per alcuni versi sui generis: più simile ad una convention dove l'aspetto "commerciale" è passato quasi in subordine.
L'unico rammarico è che è stato veramente minimo il piacevolissimo tempo passato a disquisire con Erminio di aspetti tecnici: d'altra parte era giusto che il suo tempo fosse dedicato al ruolo di guida (anche se il termine gli sta stretto) al museo ed alla fabbrica. Fortunatamente riusciamo a scavare qua e là qualche occasione "extra penshow".
Grazie di esserci stati!
Il prossimo anno sarà ancora meglio con più eventi e più cultura pennifera. Non hai idea di quanto mi riempia di gioia leggere che in questo Penshow la parte economica sia in qualche modo passata in secondo piano. Non la rinnego sia chiaro ma è un Penshow non un Penmarket quindi facciamo cultura, affasciniamo le giovani leve e non solo, il compra/vendi verrà poi da se.
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Condivido e sottoscrivo a tal punto da essere fermamente convinto che questa sia l'unica via per garantire la sopravvivenza della passione per gli strumenti di scrittura ed il loro utilizzo più nobile.
E' un periodo che sono abbastanza pessimista sul futuro del collezionismo delle stilografiche, azzannato sempre più ferocemente dalle logiche commerciali.
Permettetemi una digressione.
Ben oltre vent'anni or sono rimasi stregato ed affascinato da questo tipo di collezionismo, intrigante e permeato di cultura ben più di quanto potessi sospettare: la storia della stilografica è anche la storia del design, dei materiali, del costume del XX secolo.
Quello delle stilografiche è nato però come collezionismo povero e, pur affermandosi, tale sarebbe dovuto restare. Perché il valore intrinseco di una penna è basso, anche nelle migliori e più complesse realizzazioni: se si paragona ad un orologio è innegabile che l'oggetto penna sia di una banalità sconcertante.
Eppure ci sono penne che costano quanto e di più di orologi tutt'altro che banali. Perché? Semplicemente perché l'unico parametro che governa queste valutazioni è
la rarità.
Ma una valutazione, per essere duratura nel tempo, non può non tenere conto anche del valore intrinseco: altrimenti è fittizia, virtuale, instabile.
Il fatto che ci siano sciocchi danarosi disposti a spendere svariate migliaia di euro per un tubetto di celluloide la cui durata nel tempo è ignota od un tubetto d'ebanite rivestito con una lamina d'ottone artisticamente lavorata quanto si vuole, ma che ha visto l'oro passarle vicino e ne ha assunto il colore, induce i commercianti ad alzare sempre di più le quotazioni, a pagare senza battere ciglio somme già spropositate per questi oggetti, consapevoli di avere comunque sostanziosi margini di guadagno. A mio modo di vedere tutto ciò sta portando il sistema ad un imminente collasso.
Tanto per cominciare ci stiamo fumando, se non ci siamo già fumati, il ricambio generazionale: ditemi come può un giovane, che è già fortunato se ha un lavoro da 1.200 euro mensili, pensare di spenderne 4.000 per una penna. E chi inizierebbe una collezione avendo la consapevolezza che, colpi di fortuna a parte, potrà ambire solo agli oggetti che i collezionisti affermati schifano?
Quando qualcuno di questi grulli arricchiti, magari persino convinti di avere ben investito il proprio denaro, si stuferà e proverà a vendere la sua collezione si renderà conto di avere buttato via un sacco di quattrini e se la cosa, come tutt'altro che improbabile, diventasse contagiosa sarebbe la fine.