Riccardo hai perfettamente ragione sulla differente colorazione dell’oro sul trattamento superficiale, e sulla variazione di tonalità della fotografia, ma vuol dire che non sono stato chiaro, vedrò di spiegarmi meglio a costo di essere pedante.
L’oro che viene messo in vendita è, storicamente (oggi si utilizzano anche altri elementi), una lega ottenuta mischiando lo stesso con rame ed argento, quindi un oro 18 kt sarà costituito per il 75% da oro e per il 25% da rame+argento.
Quindi nelle leghe d’oro variando opportunamente i diversi leganti utilizzati, è possibile, pur mantenendo inalterata la percentuale dell’oro al 75% (18 Kt), ottenere diverse gradazioni di colore con una miriade di sfumature diverse variando la percentuale degli altri due elementi utilizzati.
Una predominanza di argento conduce a colorazioni biancastre, ma ne aumenta considerevolmente la durezza ottenendo quindi una lega difficilmente lavorabile, viceversa una predominanza di rame conduce a colorazioni rosse.
In via del tutto teorica, potremo costruire su carta un triangolo equilatero che contiene tutte le varianti di colore delle leghe d’oro: sui tre lati si inseguono le percentuali da zero a 100 di oro, rame ed argento utilizzato, ad ogni vertice in cui è 100 la percentuale dell’elemento considerato, corrisponde il colore bianco (argento), quello rosso (rame) e le varie sfumature del giallo per l’oro. Tracciando una retta che congiunge le percentuali utilizzate di rame ed argento, questa si intersecherà con la retta che passa per la percentuale dell’oro (solitamente 75), individuando un punto che identificherà la colorazione dell’oro che si dovrebbe ottenere con quelle percentuali.
Nella realtà all’interno del triangolo non si hanno delle rette, ma delle curve che delimitano aree di colore, ma il principio teorico rimane valido.
Anticamente si parlava di leghe con caratura rossa, rosa o verde; in questo periodo parliamo semplicemente d’oro rosso, rosa, giallo, verde.
Ad esempio le penne safety rivestite marcate Vulcan, sono sovente di colore rossiccio.
Molto più complesso il problema della galvanizzazione in oro degli oggetti in quanto entrano in gioco il potere penetrante e quello ricoprente, l’aderenza etc. e tanto contano, almeno oggi, gli acceleratori utilizzati.
Nelle laminature che rivestono le penne il contenuto di rame è ancora maggiore in quanto il supporto è, di solito, fatto con tale elemento.
La saldatura di queste lamine, fatta naturalmente dalla parte dell’oro, conduce agli affioramenti ossidativi di cui ho parlato. Avevo scritto “Tralascio i trattamenti antiossidanti o sbiancanti.” che non sono altro che tutti quegli accorgimenti atti a prevenire (ad esempio saldatura in atmosfera controllata, scatola chiusa, o utilizzo di sostanze atte a limitare l’ossidazione superficiale) o eliminare con i cosi detti sbiancanti (immersione dell’oggetto finito in acido solforico diluito a caldo etc.), questi scuri affioramenti di ossido di rame che sempre avvengono in quanto la lega ha subito un riscaldamento.
Innanzitutto il ragionamento sulle penne Everest era stato fatto guardando delle fotografie, quindi i sensi utilizzati sono molto limitati, o meglio viene usata solo la vista, per cui posso anche sbagliarmi e che la penna sia stata, dopo realizzata, antichizzata con la pece è possibile, ma la cosa mi sembra abbastanza improbabile.
Nelle fotografie di questa sezione (Cosa hanno in comune queste due rientranti) in cui avvicino una Italpen ad una Taurina che hanno un cappuccio pressoché identico, penne non solo viste ma anche toccate, la differenza tra le due è data dalla disossidatura (altro tipo di sbiancamento per comprenderci) a cui è stata sottoposta la Italpen (trattata, suppongo, con soluzione di cianuro, oggi lavorazione impossibile e vietata a causa dei vapori) in cui è totalmente assente l’ossidazione superficiale del rame invece ben presente, seppur in maniera limitata rispetto alla Everest, nella Taurina.
Mi scuso se sono stato prolisso.